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Il ruolo della Svizzera nella risposta europea

Un gruppo di uomini africani seduti per terra in un centro di detenzione di migranti clandestini in Libia.
Migliaia di migranti e profughi africani che hanno tentato d'inseguire il sogno europeo sono finiti nell'incubo dei centri di detenzione in Libia. Keystone

I primi profughi vulnerabili provenienti dai centri di detenzione libici che Berna ha deciso di accogliere sono giunti in Svizzera. Si tratta di una quarantina di rifugiati, tutti cosiddetti casi a rischio che beneficiano di un meccanismo di trasferimento d'emergenza (ETM). Complessivamente la Confederazione è disposta ad ospitarne un'ottantina.

Il gruppo arrivato ieri è composto prevalentemente di donne sole particolarmente vulnerabili, ma anche di donne con bambini, come pure di alcuni minori non accompagnati, ha precisato a swissinfo.ch la Segreteria di Stato della migrazione (SEMCollegamento esterno).

I 34 adulti, quattro bambini e due neonati sono atterrati ieri all’aeroporto di Zurigo. Erano partiti con un volo da Niamey, in Niger, dove erano stati provvisoriamente sfollati dalla Libia, e hanno fatto scalo a Casablanca, in Marocco, per poi raggiungere la Svizzera.

Altri 18 rifugiati vulnerabili sono in attesa della partenza per la Svizzera. I trasferimenti di rifugiati dai centri di accoglienza temporanei in Niger alla Svizzera dovrebbero essere conclusi entro la fine del mese prossimo.

Berna aveva annunciato in dicembre di aver accettato di accogliere fino a 80 profughi vulnerabili, nell’ambito di un piano d’emergenza dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) per l’evacuazione di migliaia di persone dai centri di detenzione libici. La ministra di giustizia Simonetta Sommaruga aveva dichiarato che si tratta di una “misura umanitaria urgente”, giustificata dalla situazione catastrofica in Libia.

I reportage della CNN su detenuti africani venduti nei mercati libici degli schiavi, diffusi alla fine dello scorso anno, hanno infatti provocato un’ondata di shock in tutto il mondo e spinto l’Unione europea (UE) e l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIMCollegamento esterno) a intensificare lo sfollamento dei migranti dalla Libia. “L’UE e l’Unione Africana hanno deciso che non potevamo lasciare ventimila persone nei centri di detenzione in Libia”, dice a swissinfo.ch Florence Kim, responsabile della comunicazione dell’OIM per l’Africa occidentale e centrale.

Oltre alla Svizzera, anche altri paesi europei hanno accettato di accogliere rifugiati nell’ambito di questa operazione. Vincent Cochetel, l’inviato speciale dell’UNHCR per la situazione mediterranea, ha detto a swissinfo.ch che finora sono state sfollate oltre 1’300 persone, di cui 312 in Italia, alcune in Romania e il resto in Niger. Secondo le ultime informazioni, trasferimenti di rifugiati vulnerabili sono in corso verso la Francia e altri saranno presto effettuati a destinazione dei Paesi Bassi.

Torture e maltrattamenti

Negli ultimi anni, centinaia di migliaia di rifugiati e migranti hanno affrontato il viaggio dall’Africa, passando per la Libia: alcuni con l’intenzione di rimanervi, ma la grande maggioranza con la speranza di raggiungere l’Europa. “Quasi mezzo milione di persone ha fatto la traversata del Mediterraneo negli ultimi tre anni; più di diecimila sono morte nel tentativo”, indica un rapportoCollegamento esterno di Amnesty International (AI) pubblicato nel dicembre 2017. “Un altro mezzo milione di persone, forse di più, è attualmente bloccato in Libia”.

Tra questo mezzo milione, si stima che alla fine dello scorso anno vi fossero circa ventimila rifugiati e migranti trattenuti in centri di detenzione gestiti dal DCIM, una divisione del Ministero libico degli interni istituita per affrontare i flussi migratori attraverso il paese. Altre migliaia di persone sono bloccate in centri di detenzione non ufficiali, gestiti da milizie e bande criminali, secondo il rapporto di AI.

In entrambi i casi, “le persone sono detenute illegalmente, in condizioni disumane, sottoposte a tortura e ad altri trattamenti o pene crudeli, inumani e degradanti, compresa la violenza sessuale”, si puntualizza nel rapporto. Amnesty ha accusato i governi europei di complicità in questa situazione.

L’OIM afferma che dalla fine dell’anno scorso, quando l’operazione congiunta di sfollamento è stata intensificata, hanno lasciato i centri di detenzione in Libia 17mila persone, di cui 11mila tornate a casa su base volontaria. Nei centri di detenzione ufficiali rimangono solo circa 3’500 persone. Senza dubbio ci sono più persone nei luoghi di prigionia delle milizie, ma accedervi è un problema, secondo Florence Kim.

Rifugiati e migranti

Ciò che conta nei centri di detenzione libici è se si è considerati un migrante per motivi economici o un rifugiato. La selezione dei rifugiati è effettuata dall’UNHCR, mentre il rimpatrio volontario dei migranti è gestito dall’OIM.

Alla domanda sui criteri per classificare una persona come rifugiata, Vincent Cochetel ha spiegato che questo statuto comprende “vittime di tortura, persone con problemi di salute, donne sole, bambini non accompagnati e persone con disabilità”. Ma, ha aggiunto, “devo dire che oggi in Libia quasi tutti sono vulnerabili, per cui la vulnerabilità da sola non è un criterio. Dobbiamo verificare se queste persone sono rifugiate o migranti. I rifugiati non dovrebbero essere costretti a tornare a casa, perché saranno esposti a persecuzioni o rischi”.

Ma come può essere certa l’OIM che il suo programma di rimpatrio sia davvero volontario? Secondo Florence Kim, l’organizzazione si assicura che le persone “sappiano che hanno una scelta, che non c’è pressione psicologica su di loro. Ma al contempo sappiamo anche che è quasi la sola opzione di salvezza che hanno”.

Circa l’80% delle persone tornate a casa erano state detenute in Libia, precisa la responsabile della comunicazione. La maggior parte di coloro che rientrano proviene da paesi dell’Africa occidentale, quali Nigeria, Gambia, Guinea e Costa d’Avorio. Il loro profilo dipende dal paese. “Se si prende la Costa d’Avorio, dal 70 all’80% è costituito da uomini di età compresa tra i 18 e i 30 anni, per lo più alfabetizzati”, aggiunge Florence Kim. “Dalla Nigeria provengono molte più donne che da altri paesi. Tra loro forse l’80-90% è vittima di tratta”. Numerosi sono anche i minori non accompagnati.

Un aspetto innovativo del programma di rimpatrio volontario è il sostegno al reinserimento, tramite il quale l’OIM lavora non solo con l’individuo, ma anche con la comunità di origine. “Una persona che ritorna non è lasciata sola con il suo progetto di reintegrazione, cerchiamo di metterla con altre persone”, spiega Florence Kim. “Diciamo per esempio a quella persona che la aiuteremo a costruire un’azienda avicola, che forse gestirà insieme ad altri rimpatriati. Cerchiamo anche di includere i potenziali migranti”. Questo è stato pianificato anche per evitare tensioni all’interno della comunità di origine, aggiunge la portavoce dell’OIM.

Collocamenti in Svizzera

Riguardo all’accoglienza di questi rifugiati in Svizzera, un portavoce della Segreteria di Stato della migrazione ha detto a swissinfo.ch che la Confederazione sta negoziando il loro collocamento con i Cantoni. Secondo la prassi svizzera, i rifugiati saranno affidati alle autorità federali solo per pochi giorni, prima di essere inviati nei Cantoni, secondo le quote di ripartizione concordate.

L’UNHCR è alla ricerca di un maggior numero di paesi di accoglienza. Inoltre “chiediamo alla Svizzera, ma anche ad altri Paesi europei e non europei, di fare di più, perché dobbiamo essere sicuri di evacuare il maggior numero possibile di persone dal Niger”, ha dichiarato Vincent Cochetel a swissinfo.ch. 

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(Taduzione dall’inglese e adattamento: Sonia Fenazzi)

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